Affrontiamo una problematica che riguarda migliaia di persone nella loro veste di pensionati o assistiti dell’INPS. Spesso si apre un contenzioso con l’INPS per le richieste di rimborso di somme erogate per prestazioni previdenziali o assistenziali. Ne abbiamo parlato con l’avvocato di Casa dei Diritti Sociali Marco Galdieri. La questione riguarda il ricalcolo delle somme erogate sulla base della dichiarazione dei redditi che porta l’INPS a richiedere la restituzione parziale o completa di queste somme, magari a distanza di uno o due anni da quando sono state ricevute. Questo perché l’INPS le ritiene non spettanti in quanto le condizioni reddituali del beneficiario erano mutate, arrivando a superare i tetti stabiliti per le prestazioni. La casistica è molto ampia.
Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti, siamo ad un nuovo incontro con l’avvocato di Casa dei Diritti Sociali Marco Galdieri. Oggi, parliamo di una problematiche che riguarda migliaia di persone nella loro veste di pensionati o assistiti e che investe il loro rapporto con l’INPS. Ci cono una serie di contenziosi che spesso si aprono con l’INPS per il ricalcolo delle somme erogate sulla base della dichiarazione dei redditi che porta l’INPS a richiedere la restituzione parziale o completa di queste somme, magari a distanza di uno o due anni da quando sono state ricevute. Questo perché l’INPS le ritiene non spettanti in quanto le condizioni reddituali del beneficiario erano mutate, arrivando a superare i tetti stabiliti per le prestazioni. C’è una casistica molto ampia.
Marco Galdieri (MG): Hai centrato il nucleo del discorso che ci porta a tante raccomandate che purtroppo molti cittadini ricevono e con le quali l’INPS richiede la restituzione di somme che ha dato a titolo assistenziale o previdenziale. La casistica è abbastanza ampia. Può andare da prestazioni assistenziali relative all’invalidità civile, all’accompagno e all’assegno unico oppure assegni sociali o previdenziali e assegni pensionistici come gli assegni di reversibilità. Non sempre è agevole e chiara la distinzione tra prestazioni assistenziali e previdenziale, ma in questo contesto non è particolarmente importante, come vedremo. Ci basti dire che la prestazione assistenziale è spesso legata ad un aiuto che dà l’INPS in caso di bisogno sulla base di un bisogno economico o a problemi di natura psicofisica, mentre quella previdenziale attiene alle prestazioni pensionistiche, anche di reversibilità.
La giurisprudenza ad oggi maggioritaria, anche con sviluppi recenti favorevoli, considera che l’INPS non possa mai richiedere dei soldi per il pregresso, ma possa semmai determinarsi per il futuro. Facciamo un esempio dimostrativo. Facciamo conto che una persona prenda una pensione a titolo di reversibilità e che a seguito di una mutata condizione economica regolarmente dichiarata nella dichiarazione dei redditi negli anni, l’importo vada modificato. È possibile che questo sia accaduto a partire da un determinato anno. A seguito della dichiarazione dei redditi, l’INPS ha fatto delle verifiche e ha appurato che il cittadino, pur non avendone pienamente diritto, ha avuto delle somme indebite, secondo l’INPS.
Cosa succede ora? L’INPS andrà a richiedere queste somme indietro e spesso, a seguito di una prima richieste, ci sarà una seconda lettera in cui verranno stabilite delle rate per il rientro, in modo che l’INPS si va a riprendere direttamente dal residuo della pensione che viene erogata. Facciamo conto che c’era una pensione di reversibilità di 800 euro al mese, a seguito di un riconoscimento di un versamento indebito di mille euro, l’INPS invia una seconda raccomandata in cui prospetta un piano di rientro di 50 euro mensili da una rata che potrà essere diminuita da 800 a 500 euro.
Il principio su cui sia la normativa sia la giurisprudenza fanno leva in questi casi è l’INPS è un ente statale che ha come funzione l’assistenza dei cittadini, mentre i cittadini hanno minori strumenti per determinare quale sia la somma che vada loro attribuita mensilmente. Per questo i principi normativi e giurisprudenziali sono intervenuti nel corso degli anni per fare in modo che, laddove ci sia la buona fede del contribuente, il che significa che non ci siano dichiarazioni fallaci, il ritardo dell’INPS nel controllo dei requisiti nel corso del tempo e nella modifica delle somme erogate non può ricadere sul soggetto fisico, poiché quanto è avvenuto è avvenuto senza sua colpa. Addirittura, ho avuto casi di prestazioni assistenziali, persone che prendevano l’assegno per l’invalidità civile, in cui le mutate condizioni reddituali, le avrebbero portate a non avere più questo tipo di assegno. In questi casi succedeva che il cittadino stesso, attraverso il CAF, aveva scritto all’INPS chiedendo di conoscere se avesse ancora diritto o meno a ricevere queste prestazioni, e per tutta risposta riceveva a distanza di 9 mesi una lettera da parte dell’INPS in cui veniva richiesta la restituzione dell’indebito per tutto l’anno precedente. In questo caso, non solo c’era buona fede da parte del soggetto fisico, ma era stato lui stesso che, nonostante non avesse nessun onere in tal senso, aveva provveduto a comunicare all’INPS le mutate condizioni reddituali, e ciononostante aveva continuato a percepire l’assegno per altri 8-9 mesi, salvo poi ricevere la richiesta di restituzione delle somme indebite o presunte indebite da parte dell’INPS.
Questo, come in tanti altri casi, ha portato ad un contenzioso giudiziario che, a sua volta, ha fatto sì che l’INPS venisse condannata e venissero dichiarati inefficaci questi provvedimenti di richiesta di indebito. Questo proprio perché il principio di buona fede porta a tutelare il contribuente, il cittadino, piuttosto che l’INPS stesso. Pertanto, qualora vengano superati i limiti reddituali e si perda il diritto per qualsiasi causa che non sia imputabile ad una malafede da parte del contribuente, questo non può determinare un impoverimento dello stesso. I giudici del tribunale e anche la corte di legittimità hanno sempre perorato la causa di chi incompevolmente si è visto versare dei soldi, come un assegno assistenziale. Si tratta di persone che hanno un bisogno economico, per cui mi vengono in mente il reddito di cittadinanza, l’assegno sociale, le prestazioni di invalidità e di accompagno, che sono tutte situazioni in cui l’INPS provvede ad una contribuzione economica proprio per la situazione di difficoltà che si è venuta a creare. Se poi nel corso degli anni, magari con 1-2 anni di ritardo, l’INPS potesse andare a richiedere un presunto indebito, aggraverebbe una situazione già di per sé non semplice. Si rischia di procurare un danno maggiore rispetto a se quei soldi non fossero mai stati dati.
Fermo restando che vi deve essere una corretta dichiarazione dei redditi da parte della persona fisica e che non ci deve essere alcun dubbio rispetto ad un potenziale dolo da parte della stessa, il principio che ormai si può ritenere pienamente affermato è che l’INPS possa soltanto provvedere per il futuro. Se l’INPS arriva in ritardo è un problema dell’INPS. Può solo modificare per il mese successivo a quando manda la lettera, ma non può mai andare a richiedere il rientro dei soldi che già sono stati versati. Questo sempre che le persone si rivolgano a dei legali per far affermare il proprio diritto, perché purtroppo l’INPS continua a fare richieste, tant’è che mi arrivano tantissimi casi di richieste che vanno dai 2 mila ai 10-12 mila e fino ai 18 mila euro. Richieste che possono gettare nel panico le persone. Sappiate che in tanti casi la richiesta risulta essere poi illegittima. Impugnandole si possono ottenere dei risultati favorevoli.
AS: Una domanda. Eventualmente, l’INPS è disponibile a contrattare questi rientri o procede in modo totalmente unilaterale?
MG: L’INPS non contratta. L’esito è favorevole nella misura in cui ci si oppone. L’opposizione si compone di due parti. La prima è obbligatoriamente un ricorso cosiddetto amministrativo alla stessa INPS. Si fa tramite i patronati, i CAF oppure si può fare direttamente accedendo con il proprio SPID. Nel 99,9% dei casi il risultato porta a nulla, al silenzio dell’INPS, quindi ad una mancata risposta che equivale ad un rifiuto, oppure ad una delibera di rigetto. Poi, bisogna andare dal giudice. L’INPS non solo non contratta, ma l’unica concessione è quella di eventualmente rateizzare questi importi. L’INPS sa bene che soprattutto nei casi degli assegni assistenziali, la persona che riceve questa lettera non ha i sodi da poter restituire, altrimenti non li avrebbe potuti chiedere. Segue il famoso principio che dice “al nemico che fugge, ponti d’oro”, dice che se vuoi rateizzare non c’è nessun problema, ma non può fare un saldo e stralcio, dato che è un ente pubblico. Quando si tratta di prestazioni previdenziali continuative che non sono cessate, provvede a farsi un’auto rateizzazione che va prelevare dai bollettini successivi. La soluzione che sta dando ottimi risulti è quella dell’opposizione, ma la persona non deve andare a restituire spontaneamente i soldi, ma si rivolga ad un legale o a un esperto del settore. Nelle aule giudiziarie i principi che si sono affermati sono favorevoli a chi si oppone alle richieste dell’INPS.